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Le origini di Avigliano fra memoria e storia
Stemma Comune Avigliano in pietra. Antichi e incerti il toponimo e le origini di Avigliano, sui quali gli storici, in assenza di reperti archeologici e di documenti certi fino agli inizi dell’alto medioevo, hanno elaborato diverse teorie ed ipotesi, meritevoli di approfondite ricerche e di laboriosi studi. Sulla base di una leggenda, oralmente tramandata, si vuole che questo centro fosse stato fondato dai Sanniti, volgarmente detti “Banniti “, qui attratti dalla sicurezza del luogo e dalla salubrità dell’aria, durante la loro espansione verso la nostra regione intorno al V secolo A. C.
Un’altra leggenda fa derivare il toponimo di Avigliano da “Avis locum “, cioè luogo dell’uccello, denominazione data al territorio da un gruppo di marinai provenienti dall’Oriente. Questi, dopo aver perso la loro nave in un combattimento sulle coste dell’antica Lucania, per sfuggire alla cattura da parte dei vincitori, si addentrarono nella regione e si fermarono nella zona montuosa, che poi diventerà Avigliano, ricoperta da folte selve, ove trovavano il loro ambiente naturale e sicuro molti animali, ed in particolare, gli uccelli che nidificavano nella parte più alta ed inaccessibile.
L’aviglianese cav. Andrea Corbo, nel suo libro Memorie patrie e ricordi di famiglia, Roma 1895, fa derivare il nome da "locum avellani ", luogo dei noccioli. Infatti, anticamente, il territorio di Avigliano era interamente ricoperto di boschi ed in particolare da alberi di nocciolo.
Più attendibile, invece, è l’ipotesi che Avigliano sia sorta su un ’fundus ", tra la fine della Repubblica e l’inizio dell’Impero romano, in quanto, come riferisce lo storico G. Flechia (181I-1892) già al tempo dell’imperatore Traiano era menzionato un "Fundus Avillanus, o Avilius " sia nelle Tavole Alimentarie dei Bebiani, che nelle Tavole Alimentarie di Velleia, tra il 98 e il 117 d. C.
Il sen. Giacomo Racioppi, lo storico per eccellenza della Basilicata, fa risalire il nome di questa città a quello di una famiglia gentilizia romana appellata "Avilia ", assegnataria di fondi in queste zone. Ipotesi questa, condivisa da Giustino Fortunato, Tommaso Claps, Angelo Telesca ed altri studiosi lucani.
L'’ultima ipotesi, in ordine di tempo, è stata avanzata da D. Imbrenda nel libro "Villianae". Pochi anni fa è stata ritrovata, nella vicina località S. Pietro, posta a confine con i Comuni di Ruoti e di Bella, una lapide funeraria su cui si legge che era dedicata ad una donna della famiglia Villiana. Imbrenda, riscontrando lo stesso nome su altra lapide, osservata a suo dire, presso la Chiesa Madre della città, ha ipotizzato che discendenti di questa famiglia si siano trasferiti nell’attuale abitato, per cui da essi ha preso la denominazione.